"Voglio volere... io voglio un mondo
all'altezza dei sogni che ho..."
"Ed è proprio quello che non si potrebbe che vorrei ,
ed sempre quello che non si farebbe che farei,
come quello che non si direbbe che direi,
quando dico che non è così il mondo che vorrei".

venerdì 27 maggio 2011

FOUCAULT E LA FOLLIA

FOUCAULT E LA FOLLIA

Paul Michelle Foucault, filosofo e storico francese, nasce nel 1926 a Poitiers e muore a Parigi nel 1984. I suoi studi hanno riguardato la filosofia, la psicologia, le scienze mediche, la storia e la filosofia della storia. I suoi primi interessi si concentrarono soprattutto sulla follia vista prima come malattia e dopo come oggetto di scienza. Nella sua “ Storia della follia nell’età classica “ (1961), Foucault approfondì lo sviluppo delle interpretazioni della follia sino alla moderna concezione della malattia mentale, mettendo in luce la forza creativa della follia, che le società occidentali hanno tradizionalmente represso. Lui ha infatti ritenuto necessario cercare di capire in che modo i folli erano riconosciuti, scartati ed esclusi dalla società e quali istituzioni fossero destinati ad accoglierli e a trattenerli al loro interno per curarli. Nel 1970 scrive un altro libro intitolato “ L’ordine del discorso ” in cui si occupa dell’importanza del discorso in quanto espressione della realtà e di come sia possibile esercitare o ottenere potere attraverso esso.
Foucault stabilisce perciò delle procedure di esclusione e di limitazione del discorso che sono:
• Interdetto
• Partizione della follia
• Volontà di verità
Per quel che concerne l’interdetto è noto che non si può parlare di tutto in qualsiasi circostanza. In questa procedura si fa riferimento soprattutto a tabù rituali, diritto di parlare o meno di qualcosa, esclusività di esporre un argomento: sono questi i tipi d’interdetto che rendono il discorso non accessibile a chiunque ed ovunque. Questo perché il discorso non è solo manifestazione di un desiderio, ma è elemento di lotta nel gioco di forze contrapposte, ovvero nelle dinamiche del potere quello della sessualità. Esiste un altro principio di esclusione la procedura della partizione della follia, che in questa sede sarà il mio oggetto di riflessione, che è stata oggetto di molte osservazioni in diversi ambiti nel corso dei secoli. La follia viene identificata come una mancanza di adattamento che il malato mostra nei confronti dell'ambiente, tenendo ben presente che la definizione della follia è influenzata dal momento storico, dalla cultura, dalle convenzioni, quindi è possibile considerare folle qualcosa o qualcuno che prima era normale, e viceversa. La follia può manifestarsi come violazione delle norme sociali, compresa la possibilità di diventare un pericolo per se stessi e gli altri, anche se non tutti gli atti sono considerati follia. Nell'uso moderno follia è più comunemente usato come termine informale che denota instabilità mentale, o nel contesto più ristretto giuridico dell'instabilità mentale. Nella professione medica il termine è ora evitato, in favore di diagnosi più specifiche di malattie mentali. La branca della medicina che si occupa delle malattie mentali è la psichiatria, mentre lo studio di queste in termini generali è argomento della psicopatologia.
Foucault dice :“E’ curioso constatare come per secoli in Europa la parola del folle o non era intesa, oppure, se lo era, veniva ascoltata come una parola di verità”.
La terza ed ultima procedura di esclusione riguarda la volontà di verità in cui vediamo come i discorsi mutuano a seconda dei tempi e dei cambiamenti della società. Storicamente, per esempio, Foucault cita la Grecia del VI secolo, dove il discorso era vero se era pronunciato dalla autorità legittimata secondo una ritualizzazione canonica; un secolo dopo il discorso era vero in base a quello che effettivamente diceva. E’ la volontà di sapere che muta, e che pone l’osservatore da una prospettiva che deve soddisfare dei canoni di veridicità.
Ma torniamo all’oggetto della nostra tesi, la follia. La follia viene dal latino “folle” che significa “mantice” oltre che recipiente vuoto ha quindi sicuramente un’accezione negativa. Nelle antiche società umane la follia possedeva una forte connotazione mistica in quanto derivante dall’influsso di qualche divinità. Anche i sacerdoti del tempio praticavano la guarigione della follia con riti e preghiere. A volte la follia poteva essere considerata anche una punizione, una maledizione divina: in questo caso la persona giudicata folle veniva emarginata ed esclusa dalla vita della collettività. Nel Medioevo la follia venne considerata come una forma di possessione da parte di “spiriti maligni”, cosi la gestione delle malattie mentali passarono dai medici alla Chiesa e i folli furono esclusi dalla partecipazione alle funzioni religiose. Ma nel Medioevo il folle è considerato anche come un personaggio oggetto di rappresentazione artistica e di allegoria, modello dell’insensatezza della condizione umana in cui si riflettono le paure dei propri contemporanei.
Nell'antichità fu Platone il primo che affermò che tutti gli uomini straordinari, eccellenti nella filosofia, nella politica, nella poesia e nelle arti sono palesemente melanconici, implicando una connessione tra genio e melanconia che collocava l'homo melancholicus in una zona prossima all'alterazione. Platone chiama amore celeste l'inesprimibile desiderio che ci spinge a riconoscere la bellezza divina. La vista di un bel corpo suscita l'ardente smania della bellezza divina, e quindi le persone ispirate sono tratte a uno stato di divina follia. Dopo di allora l'idea che i veri artisti creassero in preda a una sorta di ispirata pazzia fu assai dibattuta, e largamente accettata. Senza dilungarci sull’influenza della teoria platonica dei furores, ricorderemo un'altra tradizione, secondo la quale il genio non era molto lontano dalla pazzia vera e propria: quella facente capo a Seneca, il cui detto, spesso citato, “nullum magnum ingenium sine mixtura dementiae fuit” cioè “nessun ingegno grande fu mai senza mistura di pazzia”, sembrava esprimere questo punto di vista. Per riassumere, il problema della 'pazzia degli artisti', visto nella sua prospettiva storica, ci pone a confronto di tre forme di pazzia intrinsecamente diverse: anzitutto la mania di Platone, la sacra follia dell'entusiasmo e dell'ispirazione; secondariamente l'insanità e i disordini mentali di varia specie; e infine qualcosa che allude vagamente a stravaganze di comportamento. Un cambiamento radicale della concezione di follia si ha tra il XVI e il XVII secolo quando nella letteratura Miguel Cervantes e William Shakespeare mostrano l’essere umano alle prese con nuovi ordini sociali, politici, simbolici. Nel romanzo di Cervantes “Don Chisciotte”, infatti, si scorge in apparenza una satira burlesca dei romanzi cavallereschi, in realtà affronta il tema della follia e delle illusioni umane e si interroga sulla natura della creazione letteraria. Ma con l’avvento della scienza moderna la follia si riduce ad essere considerata “malattia” e vengono a crearsi pratiche di internamento e di esclusione di tutte le forme di eccedenza. La follia nella letteratura ha una funzione di rivelazione di verità. Ma la follia non ci dice solo la verità, ci mostra anche una sofferenza. I malati che infatti si comportavano in modo bizzarro e aggressivo venivano esclusi e derisi o come accadeva nella maggior parte ei casi rinchiusi in carcere. Nel Rinascimento cambia la concezione di follia, secondo cui il folle andava rispettato e lasciato libero. Erasmo da Rotterdam centra questa nuova concezione del folle nella sua opera più importante “Elogio alla follia”opera satirica in cui condanna l’intellettualismo dei teologi e la corruzione del clero, invocando un ritorno alla semplicità delle verità evangeliche. L’Elogio alla follia rappresenta un’ esaltazione allegorica della figura della follia: la rappresenta come dea in vesti di donna. Erasmo si serve delle dolci parole della dea, pone in discussione tutto il mondo, infatti la sua narrazione ritiene che la follia sia la dominatrice dell’intera civiltà con le sue leggi e le sue usanze. Una follia con le sue ali circonda e abbraccia ogni genere di persona, laici ed ecclesiastici, umili e potenti, ignoranti e sapienti. Una dea che nella sua schiettezza rappresenta tutti gli umani errori e le umane debolezze.
Come ha chiaramente messo in luce Colli, il mito greco del Labirinto e del Minotauro è la storia della lotta dell'uomo per conquistare e domare il linguaggio della follia, della "diversità", ma anche la denuncia di un fallimento: il fallimento di chi, come Teseo, con l'inganno e il tradimento penetra nel Labirinto e uccide la Bestia senza aver prima riconosciuto che il Labirinto e la Bestia sono dentro di lui, ovvero che coesistono logiche "altre", egualmente portatrici di significato e di sapere. Costruire una storia sociale e individuale della follia significa appunto questo: rinnegare Teseo per riuscire a penetrare e a uscire dal Labirinto senza uccidere o ridurre al silenzio l'altro da sé; rifiutare l'aiuto di Arianna per giungere a scoprire e salvare la fiammella dell'anima anche là dove sembra essere scomparsa ogni traccia del pensiero umano, accettando di penetrare e far proprie quelle logiche "altre" che comunemente sanciscono la diversità e l'esclusione.
Basta considerare per un attimo la letteratura sulla follia per rendersi conto di quanto sia arduo parlare dei folli alla luce delle loro intenzioni e non alla luce di fattori esterni. I "medici", infatti, nella quasi totalità dei casi, quando non si limitano a registrare le parole e i comportamenti del paziente in chiave di mera anamnesi clinica, tendono a decodificare e interpretare il linguaggio dei folli secondo la logica e la psico-logica dei "sani", alterando così vistosamente il portato comunicativo del "malato".
In realtà, i messaggi dei folli (scritti, disegni, gesti, vocalizzazioni, silenzi) andrebbero affrontati come sistemi coerenti di comunicazione, ovvero come espressioni di una cultura altra cioè una diversa visione del mondo e della realtà, così come lo storico della cultura popolare legge i documenti a disposizione utilizzando una metodologia "aperta" e multidisciplinare .
Per penetrare nei labirinti della ragione senza smarrirsi occorre essere consapevoli del fatto che i folli non solo tentano sempre di spiegare a se stessi e agli altri il proprio comportamento utilizzando il linguaggio che sentono proprio, ma altresì ci propongono una visione del mondo che è speculare rispetto a quella accettata e condivisa dalla società dei "sani", utilizzando al contempo le ambiguità e i doppi valori che la contraddistinguono come cifre comunicative.
Di fatto, il linguaggio del folle contesta il discorso e le certezze dei "normali", mette in discussione il principio che esistano canoni definitivi di verità e falsità, di realtà e illusione. Esso non è dunque, come troppo spesso è stato detto, manifestazione irrazionale o balbettio insignificante, né è la romantica, cosciente rivolta contro l’"ordine". E' piuttosto un codice comunicativo in cui il conferimento di senso non è dato dall'assoluta univocità fra significato e significante, bensì dalla coesistenza di molteplici e apparentemente discordi piani comunicativi fra loro correlati in base ai principi dell'analogia e della similitudine.
Sono queste le testimonianze dirette che ci parlano della follia e dei folli; ma, accanto a esse, esiste anche il muto linguaggio degli spazi dell'isolamento, il palcoscenico doloroso dove giorno dopo giorno i corpi sono chiamati a narrare le loro povere storie di solitudine e di straniamento. E proprio a questi due momenti rivolgeremo la nostra attenzione. Diverso il destino del folle, che non conosce l'arte della parola e che però vive una identica condizione di scacco e, inconsapevolmente, cerca di opporvisi con analoghe strategie comunicative, con una analoga ricostruzione del pensiero.
Come ha ben evidenziato Kurt Scheider , "... Chi è nella follia pensa; e pensa, anzi, come nessun altro: benché non con la logica degli altri. Chi è nella follia ha un diverso modo di pensare. Pensare significa originariamente questo: viaggiare, prendere una direzione ... Sradicato, e solitario, è chi è nella follia in quanto egli è in cammino verso qualche altro luogo". Ciò che traumatizza gli "osservatori" della follia non è tanto l'esplosione della "bestia" che si nasconde nell'uomo, quanto il carico di insubordinazione alla logica comune che essa manifesta. La follia, dunque, nell'immaginario collettivo, è soprattutto questo: una presenza misteriosa e sfuggente che minaccia l'ordine della realtà contingente, aprendo la strada a tutto ciò che è fuori della norma, a ciò che perennemente è da riconquistare e fissare perché sempre muta e sempre di mantiene inafferrabile.









GENTILE NUNZIA
matricola 118350