Il mondo che vorrei....

"Voglio volere... io voglio un mondo
all'altezza dei sogni che ho..."
"Ed è proprio quello che non si potrebbe che vorrei ,
ed sempre quello che non si farebbe che farei,
come quello che non si direbbe che direi,
quando dico che non è così il mondo che vorrei".

venerdì 27 maggio 2011

FOUCAULT E LA FOLLIA

FOUCAULT E LA FOLLIA

Paul Michelle Foucault, filosofo e storico francese, nasce nel 1926 a Poitiers e muore a Parigi nel 1984. I suoi studi hanno riguardato la filosofia, la psicologia, le scienze mediche, la storia e la filosofia della storia. I suoi primi interessi si concentrarono soprattutto sulla follia vista prima come malattia e dopo come oggetto di scienza. Nella sua “ Storia della follia nell’età classica “ (1961), Foucault approfondì lo sviluppo delle interpretazioni della follia sino alla moderna concezione della malattia mentale, mettendo in luce la forza creativa della follia, che le società occidentali hanno tradizionalmente represso. Lui ha infatti ritenuto necessario cercare di capire in che modo i folli erano riconosciuti, scartati ed esclusi dalla società e quali istituzioni fossero destinati ad accoglierli e a trattenerli al loro interno per curarli. Nel 1970 scrive un altro libro intitolato “ L’ordine del discorso ” in cui si occupa dell’importanza del discorso in quanto espressione della realtà e di come sia possibile esercitare o ottenere potere attraverso esso.
Foucault stabilisce perciò delle procedure di esclusione e di limitazione del discorso che sono:
• Interdetto
• Partizione della follia
• Volontà di verità
Per quel che concerne l’interdetto è noto che non si può parlare di tutto in qualsiasi circostanza. In questa procedura si fa riferimento soprattutto a tabù rituali, diritto di parlare o meno di qualcosa, esclusività di esporre un argomento: sono questi i tipi d’interdetto che rendono il discorso non accessibile a chiunque ed ovunque. Questo perché il discorso non è solo manifestazione di un desiderio, ma è elemento di lotta nel gioco di forze contrapposte, ovvero nelle dinamiche del potere quello della sessualità. Esiste un altro principio di esclusione la procedura della partizione della follia, che in questa sede sarà il mio oggetto di riflessione, che è stata oggetto di molte osservazioni in diversi ambiti nel corso dei secoli. La follia viene identificata come una mancanza di adattamento che il malato mostra nei confronti dell'ambiente, tenendo ben presente che la definizione della follia è influenzata dal momento storico, dalla cultura, dalle convenzioni, quindi è possibile considerare folle qualcosa o qualcuno che prima era normale, e viceversa. La follia può manifestarsi come violazione delle norme sociali, compresa la possibilità di diventare un pericolo per se stessi e gli altri, anche se non tutti gli atti sono considerati follia. Nell'uso moderno follia è più comunemente usato come termine informale che denota instabilità mentale, o nel contesto più ristretto giuridico dell'instabilità mentale. Nella professione medica il termine è ora evitato, in favore di diagnosi più specifiche di malattie mentali. La branca della medicina che si occupa delle malattie mentali è la psichiatria, mentre lo studio di queste in termini generali è argomento della psicopatologia.
Foucault dice :“E’ curioso constatare come per secoli in Europa la parola del folle o non era intesa, oppure, se lo era, veniva ascoltata come una parola di verità”.
La terza ed ultima procedura di esclusione riguarda la volontà di verità in cui vediamo come i discorsi mutuano a seconda dei tempi e dei cambiamenti della società. Storicamente, per esempio, Foucault cita la Grecia del VI secolo, dove il discorso era vero se era pronunciato dalla autorità legittimata secondo una ritualizzazione canonica; un secolo dopo il discorso era vero in base a quello che effettivamente diceva. E’ la volontà di sapere che muta, e che pone l’osservatore da una prospettiva che deve soddisfare dei canoni di veridicità.
Ma torniamo all’oggetto della nostra tesi, la follia. La follia viene dal latino “folle” che significa “mantice” oltre che recipiente vuoto ha quindi sicuramente un’accezione negativa. Nelle antiche società umane la follia possedeva una forte connotazione mistica in quanto derivante dall’influsso di qualche divinità. Anche i sacerdoti del tempio praticavano la guarigione della follia con riti e preghiere. A volte la follia poteva essere considerata anche una punizione, una maledizione divina: in questo caso la persona giudicata folle veniva emarginata ed esclusa dalla vita della collettività. Nel Medioevo la follia venne considerata come una forma di possessione da parte di “spiriti maligni”, cosi la gestione delle malattie mentali passarono dai medici alla Chiesa e i folli furono esclusi dalla partecipazione alle funzioni religiose. Ma nel Medioevo il folle è considerato anche come un personaggio oggetto di rappresentazione artistica e di allegoria, modello dell’insensatezza della condizione umana in cui si riflettono le paure dei propri contemporanei.
Nell'antichità fu Platone il primo che affermò che tutti gli uomini straordinari, eccellenti nella filosofia, nella politica, nella poesia e nelle arti sono palesemente melanconici, implicando una connessione tra genio e melanconia che collocava l'homo melancholicus in una zona prossima all'alterazione. Platone chiama amore celeste l'inesprimibile desiderio che ci spinge a riconoscere la bellezza divina. La vista di un bel corpo suscita l'ardente smania della bellezza divina, e quindi le persone ispirate sono tratte a uno stato di divina follia. Dopo di allora l'idea che i veri artisti creassero in preda a una sorta di ispirata pazzia fu assai dibattuta, e largamente accettata. Senza dilungarci sull’influenza della teoria platonica dei furores, ricorderemo un'altra tradizione, secondo la quale il genio non era molto lontano dalla pazzia vera e propria: quella facente capo a Seneca, il cui detto, spesso citato, “nullum magnum ingenium sine mixtura dementiae fuit” cioè “nessun ingegno grande fu mai senza mistura di pazzia”, sembrava esprimere questo punto di vista. Per riassumere, il problema della 'pazzia degli artisti', visto nella sua prospettiva storica, ci pone a confronto di tre forme di pazzia intrinsecamente diverse: anzitutto la mania di Platone, la sacra follia dell'entusiasmo e dell'ispirazione; secondariamente l'insanità e i disordini mentali di varia specie; e infine qualcosa che allude vagamente a stravaganze di comportamento. Un cambiamento radicale della concezione di follia si ha tra il XVI e il XVII secolo quando nella letteratura Miguel Cervantes e William Shakespeare mostrano l’essere umano alle prese con nuovi ordini sociali, politici, simbolici. Nel romanzo di Cervantes “Don Chisciotte”, infatti, si scorge in apparenza una satira burlesca dei romanzi cavallereschi, in realtà affronta il tema della follia e delle illusioni umane e si interroga sulla natura della creazione letteraria. Ma con l’avvento della scienza moderna la follia si riduce ad essere considerata “malattia” e vengono a crearsi pratiche di internamento e di esclusione di tutte le forme di eccedenza. La follia nella letteratura ha una funzione di rivelazione di verità. Ma la follia non ci dice solo la verità, ci mostra anche una sofferenza. I malati che infatti si comportavano in modo bizzarro e aggressivo venivano esclusi e derisi o come accadeva nella maggior parte ei casi rinchiusi in carcere. Nel Rinascimento cambia la concezione di follia, secondo cui il folle andava rispettato e lasciato libero. Erasmo da Rotterdam centra questa nuova concezione del folle nella sua opera più importante “Elogio alla follia”opera satirica in cui condanna l’intellettualismo dei teologi e la corruzione del clero, invocando un ritorno alla semplicità delle verità evangeliche. L’Elogio alla follia rappresenta un’ esaltazione allegorica della figura della follia: la rappresenta come dea in vesti di donna. Erasmo si serve delle dolci parole della dea, pone in discussione tutto il mondo, infatti la sua narrazione ritiene che la follia sia la dominatrice dell’intera civiltà con le sue leggi e le sue usanze. Una follia con le sue ali circonda e abbraccia ogni genere di persona, laici ed ecclesiastici, umili e potenti, ignoranti e sapienti. Una dea che nella sua schiettezza rappresenta tutti gli umani errori e le umane debolezze.
Come ha chiaramente messo in luce Colli, il mito greco del Labirinto e del Minotauro è la storia della lotta dell'uomo per conquistare e domare il linguaggio della follia, della "diversità", ma anche la denuncia di un fallimento: il fallimento di chi, come Teseo, con l'inganno e il tradimento penetra nel Labirinto e uccide la Bestia senza aver prima riconosciuto che il Labirinto e la Bestia sono dentro di lui, ovvero che coesistono logiche "altre", egualmente portatrici di significato e di sapere. Costruire una storia sociale e individuale della follia significa appunto questo: rinnegare Teseo per riuscire a penetrare e a uscire dal Labirinto senza uccidere o ridurre al silenzio l'altro da sé; rifiutare l'aiuto di Arianna per giungere a scoprire e salvare la fiammella dell'anima anche là dove sembra essere scomparsa ogni traccia del pensiero umano, accettando di penetrare e far proprie quelle logiche "altre" che comunemente sanciscono la diversità e l'esclusione.
Basta considerare per un attimo la letteratura sulla follia per rendersi conto di quanto sia arduo parlare dei folli alla luce delle loro intenzioni e non alla luce di fattori esterni. I "medici", infatti, nella quasi totalità dei casi, quando non si limitano a registrare le parole e i comportamenti del paziente in chiave di mera anamnesi clinica, tendono a decodificare e interpretare il linguaggio dei folli secondo la logica e la psico-logica dei "sani", alterando così vistosamente il portato comunicativo del "malato".
In realtà, i messaggi dei folli (scritti, disegni, gesti, vocalizzazioni, silenzi) andrebbero affrontati come sistemi coerenti di comunicazione, ovvero come espressioni di una cultura altra cioè una diversa visione del mondo e della realtà, così come lo storico della cultura popolare legge i documenti a disposizione utilizzando una metodologia "aperta" e multidisciplinare .
Per penetrare nei labirinti della ragione senza smarrirsi occorre essere consapevoli del fatto che i folli non solo tentano sempre di spiegare a se stessi e agli altri il proprio comportamento utilizzando il linguaggio che sentono proprio, ma altresì ci propongono una visione del mondo che è speculare rispetto a quella accettata e condivisa dalla società dei "sani", utilizzando al contempo le ambiguità e i doppi valori che la contraddistinguono come cifre comunicative.
Di fatto, il linguaggio del folle contesta il discorso e le certezze dei "normali", mette in discussione il principio che esistano canoni definitivi di verità e falsità, di realtà e illusione. Esso non è dunque, come troppo spesso è stato detto, manifestazione irrazionale o balbettio insignificante, né è la romantica, cosciente rivolta contro l’"ordine". E' piuttosto un codice comunicativo in cui il conferimento di senso non è dato dall'assoluta univocità fra significato e significante, bensì dalla coesistenza di molteplici e apparentemente discordi piani comunicativi fra loro correlati in base ai principi dell'analogia e della similitudine.
Sono queste le testimonianze dirette che ci parlano della follia e dei folli; ma, accanto a esse, esiste anche il muto linguaggio degli spazi dell'isolamento, il palcoscenico doloroso dove giorno dopo giorno i corpi sono chiamati a narrare le loro povere storie di solitudine e di straniamento. E proprio a questi due momenti rivolgeremo la nostra attenzione. Diverso il destino del folle, che non conosce l'arte della parola e che però vive una identica condizione di scacco e, inconsapevolmente, cerca di opporvisi con analoghe strategie comunicative, con una analoga ricostruzione del pensiero.
Come ha ben evidenziato Kurt Scheider , "... Chi è nella follia pensa; e pensa, anzi, come nessun altro: benché non con la logica degli altri. Chi è nella follia ha un diverso modo di pensare. Pensare significa originariamente questo: viaggiare, prendere una direzione ... Sradicato, e solitario, è chi è nella follia in quanto egli è in cammino verso qualche altro luogo". Ciò che traumatizza gli "osservatori" della follia non è tanto l'esplosione della "bestia" che si nasconde nell'uomo, quanto il carico di insubordinazione alla logica comune che essa manifesta. La follia, dunque, nell'immaginario collettivo, è soprattutto questo: una presenza misteriosa e sfuggente che minaccia l'ordine della realtà contingente, aprendo la strada a tutto ciò che è fuori della norma, a ciò che perennemente è da riconquistare e fissare perché sempre muta e sempre di mantiene inafferrabile.









GENTILE NUNZIA
matricola 118350

sabato 12 settembre 2009

Riflessioni Post-vacanze

Comunicare è certo il modo migliore per creare un mondo migliore, il mondo che tutti vorremmo. Esistono tanti modi per comunicare, ma il più importante, il più potente è sicuramente l'amore. L'amore cambia il mondo, silenziosamente.
L'amore comunica l'incomunicabile e non ha bisogno di troppe parole.
Ognuno di noi è un essere unico e irripetibile che ha il potere di regalare agli altri un po' d'amore, perchè anche l'altro si senta speciale, importante.
In quest'ottica, a poco a poco, si creano le condizioni per un'esistenza meravigliosa, che non vuol dire facile, che non elimina le difficoltà, significa solo "la fine dell'isolamento, della solitudine".
Sembra un discorso banale il mio, ma credetemi, è il concetto più semplice eppure più complicato del mondo, forse proprio per la sua estrema semplicità.
Quest'estate è stata per me ricca di novità, belle e brutte, eccitanti e spaventose.
I miei amici mi sono rimasti accanto, ognuno a suo modo, ognuno con le sue potenzialità e i suoi difetti, ognuno con la sua storia e le sue contraddizioni, e, credetemi, la condivisione sincera con l'altro, il confronto amorevole con l'altro, elimina la paura del giudizio, elimina le differenze e ridà luce alla vita. Ognuno ne esce rinnovato, chi dà e chi riceve, non si sente più solo e, anche se si guarda intorno e vede con gli occhi un mondo tutto sbagliato, col cuore vede il mondo più bello che ci sia......


"Nessuno di noi è così povero da non aver nulla da dare"
Ricordiamocelo tutti: Siamo responsabili del mondo che abbiamo, ma basta davvero poco per cambiarlo.... davvero poco.

Un cordiale in bocca al lupo a tutti per quest'anno accademico che sta iniziando!!!

Eleonora

domenica 26 luglio 2009

FACENDO IL PUNTO...


Ed eccoci alla fine del nostro percorso per l'esame (che non deve per forza significare la fine del blog e della nostra collaborazione!). Ho iniziato il mio lavoro riproponendomi di trattare tematiche di attualità attraverso la metafora del "Mondo che vorrei...", un modo per prendere in considerazione problematiche della nostra società cercandone le possibili soluzioni, e soprattutto per esprimere le nostre idee e i nostri desideri per un futuro e un mondo migliore. Stradafacendo, il mio lavoro ha incontrato qualche consenso e qualche critica,...in generale non posso dire di avere riscontrato la pertecipazione che mi aspettavo, ma essendo una persona abbastanza autocritica, mi sono detta che probabilmente c'è stato qualche errore da parte mia nell'esposizione di quello che volevo esprimere, e sono andata avanti convinta delle mie idee e consapevole che dagli errori c'è sempre da imparare (infondo era la mia prima esperienza di questo genere!).
Ho cominciato con i temi che mi sembravano più importanti e, andando avanti, in seguito alla collaborazione per i blog di Vis Musicae e Lingua dei segni, ho cercato di integrare nel mio gli argomenti centrali di questa esperienza che procedeva parallelamente: la musica, la poesia, la comunicazione in generale e, in particolare, la comunicazione attraverso il linguaggio dei segni.
Sono arrivata ad una conclusione (a una "morale della favola"): da qualsiasi punto si parta, e qualunque problema si cerchi di risolvere, il filo conduttore della nostra vita è sempre la comunicazione...e la comunicazione è dunque diventata anche il filo conduttore del mio lavoro, perchè mi sono convinta che "Il mondo che vorrei..." non ha alcuna possibilità di realizzarsi, se prima di tutto non si comunica...
Non mi dilungo più di quanto abbia già fatto, perchè fa molto caldo e l'ossigeno fa fatica ad arrivare al cervello sia di chi scrive che di chi legge!!!!! Concludo dicendo solo che sono soddisfatta, tutto sommato, del lavoro svolto e che mi piacerebbe continuare a "comunicare" in questo modo, quindi prendete questa conclusione più che altro come un ARRIVEDERCI, perchè non è detto che non ci rivedremo "PROSSIMAMENTE SU QUESTE RETI"...io magari continuerò a scrivere quello che mi passa per la testa...e se a qualcuno fa piacere può passare a trovarmi ( dopo una meritata pausa naturalnmente).
Vi lascio augurandovi sinceramente delle BUONE VACANZE!!!

SUSY


PS ringrazio Germana, Andrea, Pina e Simona che hanno collaborato, ma anche quelli che mi hanno sostenuto e quelli che hanno accettato il mio invito a diventare coautori (diciamo che il loro aiuto è stato "psicologico", più che pratico!)

sabato 25 luglio 2009

IL MONDO CHE VORREI-Laura Pausini

Quante volte ci ho pensato su,
Il mio mondo sta cadendo giù
Dentro un mare pieno di follie,
Ipocrisie.


Quante volte avrei voluto anch'io
Aiutare questo mondo mio,
Per tutti quelli che stanno soffrendo
Come te

Il mondo che vorrei
Avrebbe mille cuori,
Per battere di più avrebbe mille amori.
Il mondo che vorrei
Avrebbe mille mani
E mille braccia per i bimbi del domani,
Che coi loro occhi chiedono di più
Salvali anche tu.

Per chi crede nello stesso sole
Non c'è razza non c'è mai colore
Perché il cuore di chi ha un altro Dio
È uguale al mio.

Per chi spera ancora in un sorriso,
Perché il suo domani l'ha deciso
Ed è convicto che il suo domani
E insieme a te.

Il mondo che vorrei
Ci sparerebbe i fiori,
Non sentiremo più
Il suono dei cannoni.
Il mondo che vorrei,
Farebbe più giustizia
Per tutti quelli che
La guerra l'hanno vista,
E coi loro occhi chiedono di più
Salvali anche tu.

Come si fa a rimanere qui,
Immobili così
Indifferenti ormai
A tutti i bimbi che
Non cresceranno mai
Ma che senso ha ascoltare e non cambiare
Regaliamo al mondo quella pace
Che non può aspettare più
Nel mondo che vorrei uh uh uh

Nel mondo che vorrei
Avremo tutti un cuore.
Il mondo che vorrei
Si chiamerebbe amore.
Stringi forte le mie mani
E sentirai il mondo che vorrei
Uh uh uh il mondo che vorrei

mercoledì 22 luglio 2009

La musica e la sua "importanza comunicativa"...

Rieccomi qua dopo qualche giorno di assenza...siamo ormai alla fine di questa nostra "esperienza comunicativa" ma non potevo fare il punto del mio lavoro, senza prima avere speso qualche parola sulla "musica come comunicazione". Non che non ne abbia già parlato indirettamente, ma visti i continui riferimenti riguardo al tema durante i lavori per vis musicae, e vista la mia grande passione per ciò, non potevo tirare la somme del mio discorso sul mondo che vorrei, senza avere parlato un po' di più di una delle cose che amo particolarmente a questo mondo (LA MUSICA APPUNTO)!
Come ho già detto mi interessa qui soffermarmi in particolare sulla funzione comunicativa del fenomeno musicale, è per fare ciò ho pensato di fare riferimento a "Musica è comunicazione" di Giovannella Greco e Rosario Ponziano, che ho avuto modo di leggere seguendo il corso di Sociologia dei processi comunicativi.
Vi propongo la presentazione che ha pubblicato la professoressa Greco per gli studenti che suguivano il corso, perchè credo potrebbe esservi utile a comprendere meglio l'importanza della musica nel processo comunicativo.



MUSICA E SOCIETA'

La musica accompagna da sempre l’esistenza umana, non esiste al mondo una società senza musica.
Le ragioni della sua pervasività, più che in ciò che la musica è o significa, risiedono in ciò che la musica fa e fa fare (DeNora 2000).

Ciò che la musica fa e fa fare si articola su un duplice registro: quello individuale, relativo all’esperienza vitale della persona (Langer 1953); quello collettivo, relativo alla struttura dinamica della vita sociale (Shepherd 1977).
In entrambi i casi, la sua valenza non può essere disgiunta dal contesto in cui essa si esprime: la musica è profondamente legata ai sentimenti e alle esperienze dell’uomo in quanto essere sociale (Blacking 1973).

La musica si configura come un fatto sociale totale (Mauss 1923-24) in cui possiamo cogliere quei momenti cruciali dell’esperienza umana che, nel loro accadere, coinvolgono la pluralità complessiva dei livelli sociali.
Lo studio sociologico della musica può consentire una lettura in profondita della vita sociale come sistema di relazioni.

Non fosse altro che per queste ragioni, l’analisi della relazione tra musica e società può consentirci di mettere in luce temi di grande interesse sul piano sociale che, finora, hanno ricevuto tuttavia scarsa attenzione da parte della sociologia.


MUSICA E COMUNICAZIONE

Tra le funzioni più importanti che la musica assolve sul piano sociale, quella comunicativa riveste un ruolo cruciale, ma scarsamente esplorato fino ad oggi.
Tale funzione consiste nella capacità – propria della musica – di metterci in sintonia con l’ambiente, con gli altri, con noi stessi.


Prima di qualsiasi altra cosa, la musica ci fa sentire che siamo vivi e che non siamo soli (Greco, Ponziano 2007).
È proprio qui che possiamo rintracciare il suo profondo legame con la comunicazione, sintetizzabile nelle seguenti analogie (Greco 2007):



1. La musica come la comunicazione sottende sempre un dialogo: la vocazione comunicativa della musica consiste nel rivolgersi a qualcuno, nell’essere udita e nel cercare una risposta (Bachtin 1986).

2. Al pari di ogni linguaggio, la musica comunica. Ovviamente, perché la comunicazione abbia buon esito, è necessario che i comunicanti siano sulla stessa “lunghezza d’onda”: se nel linguaggio che utilizza la parola ciò appare quanto mai evidente, a cominciare dal presupposto che ambedue i soggetti della comunicazione parlino la stessa lingua, la musica implica un analogo consenso che si traduce nella percezione di un ordine fra i suoni e in una capacità di ascolto strutturato (Blacking 1973).

3. Tanto nella musica quanto nella comunicazione, il rumore assume tradizionalmente una connotazione negativa: la fisica acustica ne ha parlato come “suono non musicale” per descrivere le vibrazioni aperiodiche prodotte da numerosi strumenti a percussione, mentre la teoria della comunicazione (Shannon, Weaver 1949) lo ha descritto come “disturbo interno a qualunque sistema di comunicazione”. Acquisizioni più recenti ammettono, tuttavia, che il rumore può essere musicale e comunicativo.
4. Musica e comunicazione utilizzano, entrambe, il silenzio la cui funzione è quella di porci in ascolto del mondo e delle persone che lo abitano, comprese noi stesse (Greco, Ponziano 2007): gli elementi costitutivi del linguaggio che utilizza la parola sono parole e silenzi organizzati in frasi, quelli del linguaggio musicale sono suoni e pause organizzati in melodie; in entrambi i casi, il silenzio è utilizzato per avvalorare il senso della comunicazione (verbale o musicale).

5. Comunicazione e musica sono strettamente legate all’ambiente socioculturale che dà loro forma e senso: nel corso della sua storia, che coincide con quella del genere umano, la comunicazione ha assunto (e, presumibilmente, assumerà ancora) forme e strumenti che sono diretta espressione di determinate società; analogamente, nel corso della sua storia, che coincide con quella del genere umano, la musica ha conosciuto (e, presumibilmente, conoscerà ancora) molteplici forme e funzioni che sono diretta espressione di determinate culture (Greco, Ponziano 2007).

GIOVANI E MUSICA

L’esperienza della musica nella vita quotidiana dei giovani, seppure densa di molteplici dimensioni sociologiche, non ha ricevuto quell’attenzione che avrebbe meritato da parte della ricerca sociale e, come altre numerose manifestazioni della vita collettiva, si configura come un fenomeno socialmente ingombrante ma socialmente sommerso (Greco 2007).

Nell’universo giovanile, la musica assolve una funzione cruciale nella relazione tra sé e gli altri, tra il proprio mondo interiore e l’ambiente circostante. Essa rappresenta il luogo privilegiato in cui realizzare tanto il bisogno di appartenenza quanto il desiderio di autorealizzazione (Greco, Ponziano 2007).

Che si tratti di svago e sottofondo o di linguaggio artistico e stile espressivo, la musica per i giovani è, al tempo stesso, fuga nella e dalla realtà, ovvero apertura e riparo dal mondo (Greco 2007).

sabato 18 luglio 2009

A CHE COSTO SI COMUNICA ???

ALLEGO QUESTO VIDEO PER FAR CAPIRE QUANTO IL VALORE DELLA COMUNICAZIONE E' CAMBIATO..PUR DI LANCIARE LA NOTIZIA DELL'ULTIMA ORA SI DIVENTA OSTACOLI PER LA SALUTE E PER I SOCCORSI PUBBLICI!! C'E' DELL'ASSURDO